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Comunità Immacolata

Giornata Comunitaria

Patti 15 Febbraio 2015

 

«… Tutto è pronto; venite alle nozze!» (Mt 22,4).

Carissimi fratelli, oggi, Domenica 15 Febbraio, abbiamo ricevuto un invito, un invito importante ad una festa di nozze importante, l’unica festa di nozze che decide per sempre la nostra vita. Il Re ci invita alle nozze del Figlio, ma noi non siamo solo gli invitati, siamo la Sua Sposa, la Chiesa, la Comunità!

Certo il passo che il Signore ci ha dato per questa giornata è molto pieno, complesso ed impegnativo, riguarda noi, la nostra vita, riguarda tutta la storia della salvezza dall’inizio alla fine dei tempi. Dai profeti all’Apocalisse, tutta la Scrittura ci racconta dell’amore di Dio per il suo popolo, un amore così forte e vibrante come solo può avere lo Sposo per la Sposa.

Per esprimere l’amore forte e tenero, geloso e misericordioso di Dio verso il Suo popolo, appunto i profeti non hanno trovato immagine più significativa di quella dell’amore nuziale. Sotto questo aspetto essi presentano i rapporti di alleanza, di amicizia che Dio vuol stabilire con Israele e l’opera di salvezza che Egli vuole compiere a favore di Gerusalemme.

«Sì, come un giovane sposa una Vergine, ti sposerà il tuo Creatore; come si rallegra lo sposo per la sua sposa, così il tuo Dio si rallegrerà in te» (Is. 62,5). L’idea del banchetto sontuoso Isaia la presenta così: « Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti …» (Is. 25, 6). Un banchetto così splendidamente descritto dal profeta rivela la magnificenza di chi lo imbandisce ed è simbolo della salvezza donata da Dio, ma per molti secoli rimasta nascosta ai popoli, i quali ne verranno a conoscenza con la venuta del Messia.

Dio ha cercato tutte le vie per conquistare il cuore dell’uomo che ha creato per sé e che troppe volte, peccando, si è reso indegno del Suo amore.       Dio non rinuncia, però, al Suo piano ed offre la Sua alleanza, che spesso i profeti presentano nella forma suggestiva di un patto nuziale tra Dio e Israele.         Dio è lo Sposo: Egli ama con amore fedele e geloso il Suo popolo che ha creato per sé, che ha assistito e soccorso con prodigi di ogni genere e dal quale vuole essere riamato con la fedeltà e la dedizione di una sposa.

«Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os. 2, 21-22). Dio non poteva esprimere in modo più commovente il Suo amore infinito per gli uomini, il Suo proposito di attirarli e di unirli a Sé in un rapporto tanto intimo e personale da poter essere paragonato a quello che intercorre fra due sposi. Anzi, trattandosi di un vincolo tutto spirituale e divino, esso supera infinitamente quello che lega fra loro due creature.

In questo intensissimo vincolo d’amore, la sposa non può non esclamare:        «Io sono del mio amato e il suo desiderio è verso di me» (Ct. 7,11).             La creatura non potrebbe darsi totalmente a Dio se non fosse attirata da Lui; è sempre Dio che la precede col Suo amore e la Sua grazia.

Se la creatura si adopera per sgombrare il cuore da ogni affetto disordinato e per aprirlo completamente a Dio, è impossibile che Dio non vi entri e non vi doni i Suoi beni in abbondanza. Perché allora farlo aspettare? Ogni indugio potrebbe essere fatale, come accadde alla sposa del Cantico, la quale avendo ritardato ad aprire allo sposo, quando si decise a farlo, questi era scomparso. «… lo cercai, ma non lo trovai; lo chiamai, ma non rispose»        (Ct. 5,6). Dio è il Signore; Egli ha il diritto di farsi aspettare per provare la fedeltà dell’uomo, ma l’uomo non ha alcun diritto di farlo attendere.                   Indugiare a rispondere agli inviti divini o rispondervi parzialmente con negligenza, con riserva, con ipocrisia significa esporsi a perdere grazie preziosissime che condurrebbero ad un’unione più intima con Dio, alla nostra vera e piena felicità.

Dio vuole il “sì” perfetto della creatura, non solo in teoria, non solo nei momenti di preghiera e nella gioia, ma sempre: nella realtà concreta della vita quotidiana, nelle difficoltà e nello sconforto. Il nostro deve essere un sì vero e generoso con tutte le nostre forze, con tutto il nostro amore.

È così accade il trionfo della grazia, la pienezza dell’amore: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore … le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina» (Ct.8,6).

In questa visione di amore forte e tenace, possiamo ora comprendere meglio l’immagine che l’evangelista Matteo ci presenta: «Il regno dei cieli è simile ad un re che imbandì un banchetto di nozze per suo figlio. E mandò i servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire» (Mt. 22, 2-3).

Dio offre a tutti gli uomini il Suo Regno, li invita tutti alle grandi nozze del Figlio Suo, che venendo nel mondo ha sposato la natura umana; nozze che aprono agli uomini la via della salvezza perché Cristo, lo Sposo, per mezzo della Sua Incarnazione ricondurrà gli uomini alla casa, al regno del Padre.    Sono le Sue nozze con l’umanità celebrate nella incarnazione e consumate poi sulla croce!

La salvezza è il grande banchetto nuziale imbandito per tutta l’umanità; unica condizione per parteciparvi è accettare l’invito libero e assolutamente gratuito. Ma come gli invitati della parabola molti uomini si chiudono a questo invito e lo respingono ripetutamente. La salvezza è dono e chi non l’accetta vi si esclude da sé; è questo il significato della perdizione eterna, adombrata dal castigo inflitto a quanti hanno disprezzato l’invito alle nozze, per rispondere al proprio “io”: «Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari» (Mt. 22, 5). Al loro posto vengono invitati altri, che si affrettano al banchetto e rappresentano coloro che, consapevoli della propria indigenza, avvertono il bisogno di essere salvati ed intuiscono che solo Dio può salvarli. La loro povertà li apre al dono divino.

Tuttavia anche tra quelli che accolgono l’invito, non tutti sono approvati, se sono senza l’ “abito nuziale”, se cioè non si vive in modo coerente e degno della chiamata ricevuta. Il Regno, la salvezza eterna sono il dono gratuito dell’amore infinito di Dio; ma appunto perché dono d’amore esigono accettazione e corrispondenza d’amore. Rifiutare il dono è il rifiutare l’amore che lo offre e quindi mettersi volutamente fuori del regno di Dio che è regno di amore. Chi, accettando l’invito, entra nella Chiesa e vive in modo degno, sarà approvato ed introdotto alle nozze eterne del Figlio di Dio, in quel Regno che non avrà fine.

In questa prospettiva la vita del cristiano può essere considerata come un impegno di fedeltà nuziale a Cristo, fedeltà delicata, premurosa, ardente, ispirata da un amore che non ammette compromessi. «Ecco lo sposo, andategli incontro!» (Mt. 25,6).

La vita trascorsa è una vigile attesa dello Sposo, occupata in opere buone le quali, secondo il simbolismo della parabola delle vergini sagge e stolte, sono l’olio che alimenta la lampada della fede. Le vergini prudenti ne sono ben fornite; quindi possono sfidare il prolungarsi della veglia notturna e si trovano pronte all’arrivo dello sposo. Le vergini  stolte, invece, che rappresentano i tiepidi, trascurati nel compimento dei loro doveri, vedono spegnersi le loro lampade e si sentono dire: «Non vi conosco!» (Mt. 25, 12).

Per la salvezza, per partecipare alle nozze del Figlio del Re non basta invocare Dio, ma occorre «la fede che opera nella carità» (Gl. 5, 6).               A tale proposito non possiamo non ricordare l’immagine del giudizio finale, che sarà operato in base esclusivamente alle opere di carità: ero nudo e mi avete vestito, ero nudo e non mi avete vestito … A chi ha fatto della sua vita un “no”, il Signore, anche in questa occasione, dice: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno …» (Mt. 25, 41).

Allora, diamoci all’amore, al “sì” a Dio e ai fratelli, solo così potremo indossare l’abito nuziale e partecipare alle nozze, stretti e vivificati dal vincolo d’amore di Cristo nella Sua Chiesa. Non è stato un caso che il primo miracolo di Gesù si è verificato durante una festa di nozze a Cana e ciò ricorda la realtà ineffabile dei rapporti di amore, di intimità, di comunione che il Figlio di Dio fatto carne è venuto ad instaurare con gli uomini e che si è compiuta sulla croce.

A Cana, dove Gesù è andato con i discepoli e la Madre, quest’ora non è ancora giunta; tuttavia per intercessione di Maria, egli la anticipa in un segno che prelude la salvezza, la redenzione. L’acqua si cambia prodigiosamente in vino e nel più buono, quasi ad indicare il profondo cambiamento che la morte e la risurrezione di Cristo opereranno negli uomini facendo abbondare la grazia dove prima abbondava il peccato, trasformando l’acqua insipida e fredda dell’egoismo umano nel vino forte e generoso della carità. Le nozze, per l’intervento di Gesù, sono salve, la festa cominciata può e deve andare avanti con ancora più esultanza.

Tutto questo si realizza perché ogni uomo è invitato a partecipare alle nozze del Verbo con l’umanità e quindi a godere del suo amore e della sua intimità sponsale. La presenza e l’intervento di Maria alle nozze di Cana con il suo (ed il nostro …) “Fate quello vi dirà” sono grande motivo di fiducia; l’uomo, che si sente debole, bisognoso ed indegno della comunione con Cristo, sa che se si affida alla Madre, lei stessa lo disporrà e lo introdurrà affrettandone l’ora ed il suo intervento.

Noi, Comunità Immacolata, tante volte abbiamo sperimentato questo e quando abbiamo accolto il “Fate quello che vi dirà” della Madre, in tante occasioni e situazioni, nelle nostre giare colme d’acqua, vi abbiamo trovato il vino nuovo e buono della gioia e dell’amore. In forza di questo, il nostro riunirci in preghiera è sempre alla volta dell’esultanza e della festa.

D’altronde Gesù stesso ci dice: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro?» (Mt. 9, 15).                                                

E Gesù è con noi, fratelli! E questo ci basta …

Ai discepoli del Cristo si addice la gioia piuttosto che il pianto: Gesù è venuto a liberarli dal peccato, perciò la loro salvezza sta soprattutto nell’aprirsi totalmente alla parola ed alla grazia del Salvatore. Questa festa, una volta iniziata, non può e non deve finire e ci introduce alla beatitudine eterna, annunciata nell’Apocalisse: «Dio  … tergerà ogni lacrima dai loro occhi e la morte non ci sarà più» (Ap. 21, 4).

Il banchetto nuziale è pronto, la sala del banchetto piena di commensali rappresenta la Chiesa aperta a tutti gli uomini. Essere chiamati, essere entrati al banchetto non significa ancora la salvezza definita. Voglio ribadire ancora che occorre “l’abito nuziale”, che non è un abito esteriore, ma è la disposizione interiore necessaria alla salvezza.

È l’uomo che appartiene materialmente alla Chiesa, ma non vive nella carità e nella grazia; ha le apparenze del discepolo di Cristo, ma in fondo al cuore non è di Cristo, né per Cristo, frequenta la Comunità, la preghiera del lunedì, ma non è della Comunità, né è per la Comunità!

Allora sarà il nostro cuore ricolmo di amore autentico la nostra veste nuziale, “una veste di lino puro e splendente”, come la descrive Giovanni nell’Apocalisse: «la veste di lino sono le opere giuste dei santi», «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello» (Ap. 19, 8-9).

“Il futuro che ci chiama ha un abito da sposa, anche se il presente indossa un abito di stracci”. (E. Ronchi)

Partecipiamo alla gioia del nostro Dio: le Sue nozze sono le nostre nozze, Sua Chiesa, Sua Sposa. «Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”» (Ap. 22, 17). Giovanni scrive ancora: «E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo»  (Ap. 21, 2).

«Amen. Vieni, Signore Gesù! La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi santi. Amen!» (Ap. 22, 20-21). Alleluia!!! 

 

Cinzia Riccardi Barranco

 

 

 

 

 

 

 

 

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