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Padre Nostro

 

Ci incontriamo con Dio

nella preghiera del "Padre nostro"
di Pino

 

Nel Vangelo di Luca leggiamo che i discepoli domandarono a Gesù: «insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Come risposta Gesù diede loro un modello. Non diede loro un prodotto finito, ma uno splendido esempio di preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

Padre Nostro

Che conforto devono aver provato i discepoli sentendo che Gesù incominciava la sua preghiera con “Padre Nostro” (Mt 6,9). Queste due parole non erano mai state usate nell’Antico Testamento per rivolgersi a Dio. Al contrario, il velo del tempio doveva simbolicamente ricordare a ogni fedele in preghiera che il peccato aveva separato Dio e l’umanità. Quando Gesù insegnò ai suoi discepoli a pregare, sapeva che la sua morte avrebbe squarciato quel velo e avrebbe portato riconciliazione. Come risultato di ciò, io non sono più considerato un estraneo e uno straniero, ma un amico. Io non sono uno schiavo, ma un figlio del Padre celeste (cfr. Gal 3,26;4,7).

Quando prego “Padre Nostro”, non sto soltanto rivolgendomi a Dio nella maniera appropriata, ma sto affermando una realtà spirituale: Dio mi ha reso suo figlio. È un atto di grazia così sorprendente che l’apostolo Giovanni si meraviglia: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! (1Gv 3,1). Non dobbiamo esitare nemmeno un solo istante, siamo immediatamente accolti alla presenza del Padre.

 

Venga il tuo regno

A questo punto è importante mettersi nei panni dei discepoli di Gesù per comprendere l’impatto del suo modello di preghiera. Gesù infatti insegnò a considerare due aspetti del suo regno.

Quando fu interrogato dai farisei sui tempi del suo regno, rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21). È un regno spirituale, formato da tutti coloro che si sottomettono alla sovranità di Dio (cfr. Gv 3,5). Il regno di Dio è una realtà presente manifestata nella vita dei credenti. Ma il regno ha anche un aspetto visibile. In Matteo 25 Gesù spiega che Dio avrebbe presto stabilito il suo regno e che i suoi discepoli dovevano quindi essere vigilanti. E nel libro dell’Apocalisse leggiamo della venuta di quel regno. Ci sono dunque due aspetti del regno: l’ora e il non ancora. Forse Gesù li aveva in mente entrambi quando istruì i suoi discepoli a pregare. “venga il tuo regno”.  Da un lato dovrei pregare perché Dio governi la mia vita oggi. Paolo spingeva i Tessalonicesi a vivere “in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (1Ts 2,12). Come cittadino del regno dei cieli devo rispettare l’onore del re (adorazione), sottomettermi ai comandi del re (obbedienza), rimanere leale agli obiettivi del re (missione), valorizzare e condividere le risorse del re (amministrazione). “Venga il tuo regno” è una preghiera di resa personale. Al tempo stesso è una preghiera di speranza.

 

Che sei nei cieli

Se ci pensiamo bene “in cielo” è una bella affermazione. Gesù sapeva che questo comunicava parecchie caratteristiche importanti del Padre. Innanzi tutto, comunica l’onnipotenza di Dio. Uno scrittore disse: “Dovunque si trovi l’uomo, c’è sempre un cielo su di lui”. Il salmista rifletteva: “Dove andare lontano dal tuo Spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’ estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra” (Sal 139,7-10). Il sapere che Dio è nei cieli mi rassicura della sua trascendenza. Dio disse: “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,9). In Atti 17, Paolo predicava che Dio non è confinato a un tempo o ad uno spazio particolare: non ha limiti di alcun genere. Nei cieli perché mi rassicura riguardo la provvidenza di Dio. Dio conosce il risultato di ogni evento e governa il mondo secondo il suo disegno di salvezza. Dal cielo Dio vede e dirige provvidenzialmente ogni cosa, rassicurandoci che ne ha il controllo.

 

Sia fatta

la tua volontà

come in cielo

così in terra

Dio mi lascia una completa libertà ma così facendo, rischia il rifiuto. In ogni momento devo scegliere tra la volontà del Padre e la mia. È una decisione di fronte alla quale si trovò anche Gesù. Era angosciato nel Getsemani, eppure concluse: “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26,39). In precedenza, durante il suo ministero, Gesù disse che desiderava compiere soltanto la volontà del Padre suo (cfr. Gv 4,34; 5,19) e questa decisione lo portò alla morte (cfr. Fil 2,5-11).

Nella via delle decisioni umane, vengo sfidato a decidere: la volontà di Dio e la sua Parola, oppure la mia volontà e le mie ambizioni? Quando prego “sia fatta la tua volontà”, sto confermando il diritto divino sulla mia vita. Posso lottare, ma desidero che Dio abbia la sua via in me e attraverso me.

La questione è: qual è la volontà di Dio per me? A volte il problema non è la mancanza di volontà ma l’ignoranza. Mi sottometterei alla volontà di Dio se potessi immaginare qual è! Ma la preghiera di Gesù era più grande. Egli pregava perché fosse fatta la volontà di Dio sulla terra come era fatta in cielo. Non desiderava la volontà di Dio soltanto per la sua vita, ma la volontà di Dio ovunque.

La volontà di Dio è che gli rendiamo gloria. Ogni volta che vivo in modo tale da glorificare Dio, sto facendo la sua volontà sulla terra come viene fatta in cielo (cfr. 1Cor 10,31).

 

 

Sia santificato

il tuo nome

In Esodo 3 Dio si rivelò a Mosè come “IO-SONO”. Questo è il nome di Dio. È un’espressione talmente sacra che gli antichi ebrei non la pronunciavano nemmeno. Quindi non ci deve sorprendere che Gesù  insegnasse ai suoi discepoli a glorificare il nome di Dio. Eppure, non è il nome di Dio che va santificato, quanto ciò che il suo nome significa. Nella cultura ebraica dell’Antico Testamento, il nome di una persona si riferiva sempre al suo carattere. Il nome rivelato di Dio, Io-Sono, significa che lui esiste: è il Dio che è. Il suo nome significa che Egli esiste da sé ed è indipendente. Il suo nome significa che è immutabile. Dio dice: “Io Sono”, non “Io sarò”. Il suo nome significa che Egli è inesauribile. Isaia si stupisce che “Dio eterno è il Signore, creatore di tutta la terra. Egli non si affatica né si stanca” (Is 40,28).

Allora mentre rifletto sulle multiformi caratteristiche di Dio, il modello della mia preghiera si trasforma. Il mio obbiettivo si focalizza su Dio.

 

Dacci oggi

Il nostro pane quotidiano

Dio è un Padre benevolo che elargisce buoni doni ai suoi figli (cfr. Mt 7,11). In realtà la sua persona e la sua provvidenza sono inseparabili; donare è una sua caratteristica, mentre l’essere bisognosi fa parte della nostra natura. Pregare semplicemente “dammi il mio pane quotidiano” significa chiedere ciò che mi è necessario per vivere e riconoscere che, senza la continua Provvidenza di Dio, non posso sopravvivere. Nel libro dei Proverbi 30,8-9 leggiamo una preghiera che  esprime un buon equilibrio: «Non darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: “Chi è il Signore?”, oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e profani il nome del mio Dio». Il pane quotidiano è l’equilibrio tra la povertà e l’eccesso; è letteralmente ciò che è sufficiente per la giornata. Se cerco troppo, posso amare il dono più di quanto non ami il Donatore; se ricevo troppo poco, posso affondare nel malcontento. Sappiamo però che “l’uomo non vive soltanto di pane, ma… di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3), cioè della sua Parola e del suo Soffio.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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